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Parole per pensare - Scuola Secondaria di I grado ‘B.Capasso’ Frattamaggiore

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Parole per pensare - Scuola Secondaria di I grado ‘B.Capasso’ Frattamaggiore Empty Parole per pensare - Scuola Secondaria di I grado ‘B.Capasso’ Frattamaggiore

Messaggio  Admin Mer Dic 15, 2010 4:15 pm

Scheda di riflessione alunni

Chiedi spesso perché? E’ importante rispondere? E’ importante domandare? Ti capita di avere delle domande alle quali sei convinto che assolutamente nessuno potrebbe dare una risposta?

Quali di queste domande ti sei posto qualche volta?
 Da dove ha origine l’universo?
 Esiste una vita dopo la morte?
 L’uomo ha un’anima?
 Da dove hanno origine le idee?
 Esiste la verità?
 Esiste un essere che ha creato il mondo?
 Perché c’è il male?
 Esiste la felicità?
Forse a queste domande avrai già dato una risposta. Sappi che queste domande se l’è poste l’uomo di ogni tempo. Sono domande la cui risposta non solo non è facile, ma non è nemmeno definitiva. (Olimpia Ammendola, Il cielo stellato sopra di me, Grauseditore, Napoli marzo 2010, pag. 12)
La discussione con gli alunni delle classi II° ha preso avvio dalla domanda "Cos’è la filosofia?"

R. –Ragionare sui significati delle parole
R.-Spiegare i significati delle parole
R. –La filosofia riguarda quelle persone che pensano solo a studiare e che sanno tutto.
D. –Possiamo definire uguali le domande A “Quanti soldi hai in tasca?” / B “Perché c’è il male?”Proviamo a spiegare il percorso che dalla domanda A porta alla risposta?
R. –Controllo in tasca quanti soldi ci sono.
D. - Proviamo a spiegare il percorso che dalla domanda B porta alla risposta?
R. –Le domande del tipo B sono diverse, non è facile trovare la risposta.

Di seguito alcuni passaggi di una discussione che ha arrestato il proprio passo sulla domanda "Perchè c'è il male?" per rilevare del male il legame con il bene:
* se c'è il bene c'è anche il male;
* chi fa il male opera sempre anche il bene, male ai danni degli altri, bene per se e la sua famiglia;
* chi fa il male reca danno a se sstesso e agli altri, il male resta male sempre;
* chi fa il male non sa che sta facendo il male;
* la consapevolezza passa attraverso la punizione;
* la punizione fa capire ciò che è bene;
* di quale bene parliamo? di un bene che deve appartenere a tutti;
* quali sono le condizioni che realizzano questo tipo di bene allontanando il male? il dialogo!
Oggi so che in ogni frase pronunciata c'è l'anima di una domanda, allora temevo che in ogni domanda fosse contenuta una risposta che non sapevo riconoscere.
(Erri De Luca, “Non ora, non qui”)


La verità
Per molto tempo gli uomini hanno creduto che i fulmini fossero inviati da dio. Oggi noi sappiamo che questo non è vero. Però quando gli uomini pensavano che dietro l’apparizione di un fulmine ci fossero la volontà di un dio magari arrabbiato, per loro questa era un’idea assolutamente vera.
Da questo piccolo esempio possiamo capire che quello che noi oggi riteniamo vero, domani può risultare completamente falso.
Un’altra idea ritenuta vera per tanto tempo è stata quella che il sole girasse intorno alla terra. Gli uomini erano convinti di questo perché credevano a ciò che vedevano. Gli uomini infatti vedevano che il sole calava dietro le montagne mentre loro sulla terra non si muovevano. Da ciò avevano concluso che il sole si muoveva e la terra no.
Ci sono state poi delle idee ritenute vere anzi sacrosante, indiscutibili, eterne come ad esempio: la schiavitù, l’inferiorità delle donne, la disuguaglianza, la sottomissione di un popolo.
Oggi nessuno penserebbe di dire che la schiavitù è giusta, che le donne sono inferiori. Eppure per tanto tempo queste idee sono state ritenute giuste e vere

Valore
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finchè dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato,qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto. (Erri De Luca)



Scheda di riflessione docenti

La verità esiste?
La verità esiste? - E' il destino della filosofia indagare il vero per distinguerlo dal falso. La ricerca di un criterio giusto per riconoscere la verità percorre sempre la stessa strada della conoscenza, lungo tutto il pensiero occidentale. In questo cammino, sua "nemica" storica è la retorica, la tecnica del discorso abile che nella diagnosi di Platone diventa insieme medicina e veleno dell'anima. Anche le parole disoneste, insomma, possono sembrare oneste, se magistralmente combinate. E allora, è possibile e doveroso separarle? Oppure la verità sarà eternamente mescolata all'arte della persuasione? Le prime risposte sono antiche, eppure non superate. Gorgia da Lentini, campione di retorica, e Socrate filosofo del dialogo, cacciatore del vero.
Tutto è persuasione - Per Gorgia, l'inventore della retorica, la parola, il suo incantesimo, "seduce, persuade e trasforma l'anima". La verità si mischia sempre alla persuasione, a quell'arte che fa "sembrare grandi le piccole cose e piccole le grandi con la forza del lógos". Gorgia, per questa convinzione, si è guadagnato l'appellativo di sofista, sapiente in greco, imbroglione nell'immaginario comune, o meglio, persona in grado di dimostrare che è vero anche ciò che non lo è..
La verità esiste - Socrate è il primo convinto avversario dei sofisti greci. Non nega la forza della dialettica, non disconosce l'importanza dell'attività retorica, indica però un fine diverso da quello teso soltanto alla convinzione virtuosa di chi ascolta, anzi trasforma quel fine in un mezzo di purificazione intellettuale. La verità, per lui e i suoi seguaci, emerge dal dialogo. L'unica certezza è rappresentata dalla necessità di discutere.
Esistono molte verità - Gorgia è un "relativista". Il vero non è assoluto, unico; non è sciolto dall'angolo visuale dell'individuo: tante teste, tante verità. I sofisti, appassionati viaggiatori, rafforzano questa tesi con l'esempio dei valori, costumi e usi diversi conosciuti nei tanti paesi visitati.
Esiste una sola verità - La verità è una soltanto, ed è il frutto raro del dialogo. Di discutere, dice Socrate, non si finisce mai. Gli interlocutori, attraverso il confronto democratico e dando ragione delle proprie opinioni, arrivano a quella che il filosofo ateniese chiama "omologhia", il consenso.
Il potere crea la verità - Se tutto è falso, se ogni cosa è frutto del sofista truffatore, allora bisogna saper riconoscere che esiste un'etica manovrata dal potere, che d'autorità viene imposto un falso che si presenta come vero. Si parla oggi di una "tele-etica" creata e manovrata dai mezzi d'informazione. La Tv verità, per esempio, quanta verità trasmette?
La verità è più forte del potere - Ciò che è vero s'impone attraverso la sua stessa evidenza, senza mediazioni. La verità brilla di luce propria, non ha bisogno delle suggestioni del potere per essere creduta. Non sono necessarie trappole per le bugie dette dalla "grande maestra" di retorica del millennio nuovo, la televisione; le bugie, con la ragione, si scoprono.

La verità non esiste
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La verità esiste
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Gorgia di Lentini

Colui che volle: "dichiararsi pronto a rispondere a tutte le domande, che ciascuno volesse fargli", così lo ricorda già Cicerone (I, 103; De Oratore).
Come date di nascita e morte possono essere assunte orientativamente quelle del 483 e del 375 a. C., morendo quindi ultra centenario. Con l'esercizio e con l'insegnamento dell'arte oratoria, una novità anche per il mondo greco, diventò ricco al punto da poter dedicare, a Delfi, una statua d'oro al dio Apollo. Dello stesso avviso non pare Platone che, nel suo Gorgia, lo pone in contrasto critico con Socrate:

Socrate - Ti sembra che sapere e credere, ossia 'scienza' e 'opinione', siano la stessa cosa?
Gorgia - No; direi che son cose distinte.
Socrate - E diresti bene. Infatti se uno ti domandasse: 'Gorgia v'è una opinione falsa e una vera?' tu risponderesti di si, credo.
Gorgia - Di si, certo.
Socrate - Ma la scienza può essere falsa e vera?
Gorgia - Assolutamente no.
Socrate - E' proprio vero, quindi, che scienza e opinione non sono la stessa cosa.
Gorgia - Infatti.
Socrate - Eppure vi ha persuasione sia in quelli che hanno scienza che in quelli che hanno solo opinione.
Gorgia - Lo credo bene.
Socrate - Dobbiamo stabilire, pertanto, due specie di persuasione: quella che produce opinione senza il sapere, l'altra che produce scienza.
Gorgia - Hai ben ragione.
Socrate - E allora dimmi, o Gorgia, quale delle due persuasioni produce nei tribunali e nelle altre adunanze la retorica intorno al giusto e all'ingiusto? Quella, cioè, da cui deriva opinione senza sapere, oppure l'altra da cui deriva il sapere?
Gorgia - Evidentemente quella da cui deriva opinione senza sapere.
Socrate - Dunque la retorica, a quanto pare, è produttrice di quella persuasione che induce all'opinione senza il sapere, e non alla scienza del giusto e dell'ingiusto.
Gorgia - Così è.
Socrate - Di conseguenza il retore non insegna nei tribunali e nelle altre adunanze nulla intorno al giusto e all'ingiusto, ma suscita soltanto una semplice credenza. Ed infatti, come potrebbe in così breve tempo insegnare ad una moltitudine di gente cose di così grande importanza?
Gorgia - Sarebbe effettivamente impossibile.
La sua dottrina contiene un intendimento dell'arte oratoria come produttrice di persuasione: non occorre cioè che chi ascolta si convinca che ciò che ode è la verità, bensì è più utile che questi si convinca praticamente, piegandosi alla causa sostenuta dall'oratore.
Nell'Elogio di Elena alla parola viene dato il potere di dominare la vita, influenzandone le scelte anche affettive, per cui la donna non ha colpa per quel che è accaduto tra i Greci e i Troiani perché fu spinta dagli dei o dalle parole. La parola può modificare l'anima di chi la ode.
Nell'opera Sul non ente Gorgia sostiene tre tesi: nulla esiste, se esiste non è conoscibile dall'uomo, se è conoscibile non la si può comunicare ad alcuno, specialmente col solo uso della parola.
Sul valore che Gorgia attribuisce al passatempo, allo scherzo, abbiamo una nota di Aristotele, inquadrata con altre e che forse sono traccia di una seconda trattazione sulla Poetica, a noi non pervenuta: "Su ciò che fa ridere, dal momento che esso sembra avere una sua utilità nei dibattiti, e che Gorgia ha detto, e ha detto bene, che occorre distruggere la serietà degli avversari con il riso e il riso con la serietà, quante siano le forme del comico si è detto negli scritti sulla poetica: di queste l'una si adatta all'uomo libero, l'altra no, e si deve scegliere quel che meglio si adatta".
La lezione di Gorgia è tra quelle immortali dei classici, ed in generale è tra le più alte lezioni dell'ingegno umano. Ricordiamo un aneddoto grazioso che si narra a proposito del famoso viaggio di Gorgia in Atene. Lì egli arringò a lungo la folla, facendo risaltare la differenza di temperamento che sussisteva tra gli abitanti della Sicilia e della Magna Grecia, e tutti gli altri, definiti barbari. I barbari, diceva Gorgia, vivono nella discordia perché vivono tra loro senza armonia. L'armonia sarebbe stata, secondo l'oratore, il segno distintivo della superiorità greca sui nemici, e ciò avrebbe accresciuto la stima ed il timore dei barbari nei confronti dei greci. A questo punto uno della folla, un anonimo saccente, volle appuntare a Gorgia una annotazione sulla sua situazione familiare.
"Noi siamo in tanti, Gorgia", disse l'uomo, "e ci suggerisci di andare d'accordo e in armonia; tutti sanno però che a casa tua siete in tre, tu tua moglie ed il servo, e litigate da mane a sera. Non credi che avrebbero più effetto i tuoi discorsi se si sapesse che voi tre non recate molestia ai vicini?”


Socrate, La maieutica
Nel dialogo Teeteto, Platone presenta un aspetto originale e giustamente famoso del pensiero di Socrate: il compito del filosofo non sarebbe quello di insegnare, ma quello di applicare la maieutica, l’arte dell’ostetrica, per aiutare colui che ascolta a “partorire” la Verità che già possiede dentro di sé.
[149 a] Socrate – Oh, mio piacevole amico! e tu non hai sentito dire che io sono figliuolo d’una molto brava e vigorosa levatrice, di Fenàrete?
Teeteto – Questo sí, l’ho sentito dire.
Socrate – E che io esercito la stessa arte l’hai sentito dire?
Teeteto – No, mai!
Socrate – Sappi dunque che è cosí. Tu però non andarlo a dire agli altri. Non lo sanno, caro amico, che io possiedo quest’arte; e, non sapendolo, non dicono di me questo, bensí ch’io sono il piú stravagante degli uomini e che non faccio che seminar dubbi. Anche questo l’avrai sentito dire, è vero?
Teeteto – Sí.
Socrate – E vuoi che te ne dica la ragione?
Teeteto – Volentieri.
Socrate – Vedi di intendere bene che cosa è questo mestiere della levatrice, e capirai piú facilmente che cosa voglio dire. Tu sai che nessuna donna, finché sia ella in stato di concepire e di generare, fa da levatrice alle altre donne; ma quelle soltanto che generare non possono piú.
Teeteto – Sta bene.
Socrate – La causa di ciò dicono sia stata Artèmide, che ebbe in sorte di presiedere ai parti benché vergine [c]. Ella dunque a donne sterili non concedette di fare da levatrici, essendo la natura umana troppo debole perché possa chiunque acquistare un’arte di cui non abbia avuto esperienza; ma assegnò codesto ufficio a quelle donne che per l’età loro non potevano piú generare, onorando in tal modo la somiglianza che esse avevano con lei.
Teeteto – Naturale.
Socrate – E non è anche naturale e anzi necessario che siano le levatrici a riconoscere meglio d’ogni altro se una donna è incinta oppure no?
Teeteto – Certamente.
Socrate – E non sono le levatrici che, somministrando farmaci [d] e facendo incantesimi, possono svegliare i dolori o renderli piú miti se vogliono; e facilitare il parto a quelle che stentano; e anche far abortire, se credon di fare abortire, quando il feto è ancora immaturo?
Teeteto – È vero.
Socrate – E non hai mai osservato di costoro anche questo, che sono abilissime a combinar matrimoni, esperte come sono a conoscere quale uomo e quale donna si hanno da congiungere insieme per generare i figliuoli migliori?
Teeteto – Non sapevo codesto.
Socrate – E allora sappi che di questa lor [e] arte esse menano piú vanto assai che del taglio dell’ombelico. Pensa un poco: credi tu che sia la medesima arte o siano due arti diverse il raccogliere con ogni cura i frutti della terra, e il riconoscere in quale terra qual pianta vada piantata e qual seme seminato?
Teeteto – La medesima arte, credo.
Socrate – E quanto alla donna, credi tu che altra sia l’arte del seminare e altra quella del raccogliere? [150 a] Teeteto – No, non mi pare.
Socrate – Non è infatti. Se non che, a cagione di quell’accoppiare, contro legge e contro natura, uomo con donna, a cui si dà nome di ruffianesimo, le levatrici, che badano alla loro onorabilità, si astengono anche dal combinar matrimoni onesti, per paura, facendo codesto, di incorrere appunto in quell’accusa; mentre soltanto alle levatrici vere e proprie si converrebbe, io credo, combinar matrimoni come si deve.
Teeteto – Mi pare.
Socrate – Questo dunque è l’ufficio delle levatrici, ed è grande; ma pur minore di quello che fo io. Difatti alle donne non accade di partorire ora fantasmi e ora esseri reali, e che ciò sia difficile a distinguere: ché se codesto accadesse, grandissimo e bellissimo ufficio sarebbe per le levatrici distinguere il vero e il non vero; non ti pare?
Teeteto – Sí, mi pare.
Socrate – Ora, la mia arte di ostetrico, in tutto il rimanente rassomiglia a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che opera su gli uomini e non su le donne, e provvede alle anime partorienti e non ai corpi. E la piú grande capacità sua è ch’io riesco, per essa, a discernere [c] sicuramente se fantasma e menzogna partorisce l’anima del giovane, oppure se cosa vitale e reale. Poiché questo ho di comune con le levatrici, che anch’io sono sterile ... di sapienza; e il biasimo che già tanti mi hanno fatto, che interrogo sí gli altri, ma non manifesto mai io stesso su nessuna questione il mio pensiero, ignorante come sono, è verissimo biasimo. E la ragione è appunto questa, che il dio mi costringe a fare da ostetrico, ma mi vietò di generare. Io sono dunque, in me, tutt’altro che sapiente, né [d] da me è venuta fuori alcuna sapiente scoperta che sia generazione del mio animo; quelli invece che amano stare con me, se pur da principio appariscano, alcuni di loro, del tutto ignoranti, tutti quanti poi, seguitando a frequentare la mia compagnia, ne ricavano, purché il dio glielo permetta, straordinario profitto: come veggono essi medesimi e gli altri. Ed è chiaro che da me non hanno imparato nulla, bensí proprio e solo da se stessi molte cose e belle hanno trovato e generato; ma d’averli aiutati a generare, questo sí, il merito spetta al dio e a me. Ed eccone la prova. [e] Molti che non conoscevano ciò, e ritenevano che il merito fosse tutto loro, e me riguardavano con certo disprezzo, un giorno, piú presto che non bisognasse, si allontanarono da me, o di loro propria volontà o perché istigati da altri; e, una volta allontanatisi, non solo il restante tempo non fecero che abortire, per mali accoppiamenti in cui capitarono, ma anche tutto ciò che con l’aiuto mio avean potuto partorire, per difetto di allevamento lo guastarono, tenendo in maggior conto menzogne e fantasmi che la verità; e finirono con l’apparire ignorantissimi a se stessi ed altrui. [151 a] Di costoro uno fu Aristíde, figlio di Lisímaco; e moltissimi altri. Ce n’è poi che tornano a impetrare la mia compagnia e fanno per riaverla cose stranissime; e se con alcuni di loro il dèmone che in me è sempre presente mi impedisce di congiungermi, con altri invece lo permette, e quelli ne ricavano profitto tuttavia. Ora, quelli che si congiungono meco, anche in questo patiscono le stesse pene delle donne partorienti: ché hanno le doglie, e giorno e notte sono pieni di inquietudine assai piú delle donne. E la mia arte ha il potere appunto di suscitare e al tempo stesso di calmare i loro dolori. Cosí è dunque di costoro. Ce n’è poi altri, o Teeteto, che non mi sembrano gravidi; e allora codesti, conoscendo che di me non hanno bisogno, mi do premura di collocarli altrove; e, diciamo pure, con l’aiuto di dio, riesco assai facilmente a trovare con chi possano congiungersi e trovar giovamento. E cosí molti ne maritai a Pròdico, e molti ad altri sapienti e divini uomini. Ebbene, mio eccellente amico, tutta questa storia io l’ho tirata in lungo proprio per questo, perché ho il sospetto che tu, e lo pensi tu stesso, sia gravido e abbia le doglie del parto. E dunque affidati a me, che sono figliolo [c] di levatrice e ostetrico io stesso; e a quel che ti domando vedi di rispondere nel miglior modo che sai. Che se poi, esaminando le tue risposte, io trovi che alcuna di esse è fantasma e non verità, e te la strappo di dosso e te la butto via, tu non sdegnarti meco come fanno per i lor figliuoli le donne di primo parto. Già molti, amico mio, hanno verso di me questo malanimo, tanto che sono pronti addirittura a mordermi se io cerco strappar loro di dosso qualche scempiaggine; e non pensano che per benevolenza io faccio codesto, lontani come sono dal sapere [d] che nessun dio è malevolo ad uomini; né in verità per malevolenza io faccio mai cosa simile, ma solo perché accettare il falso non mi reputo lecito, né oscurare la verità. [...]Platone, Teeteto, 149 a-151 d



Question Question Question
Quale filosofia

Perché non è, questa mia, una scienza come le altre: essa non si può in alcun modo comunicare, ma come fiamma s’accende da fuoco che balza: nasce d’improvviso dopo un lungo periodo di discussioni sull’argomento e una vita vissuta in comune, e poi si nutre di se medesima. (Platone, Lettera VII)
“..bisogna abitare la domanda, il suo peculiare incanto, senza scavalcarla o volerla scavalcare nella risposta (…)Colui che non abita e che non è abitato dalla domanda, non esercita la pratica della filosofia, anche se ne conosce a memoria la storiografia”. (C. Sini, Etica della scrittura)

La filosofia non è un tempio, ma un cantiere, una sfida per il pensiero. Con l’intento di dar vita a un laboratorio del pensiero e avviare un’attività di riflessione sull’insegnare a pensare, in un’ottica interculturale, si delinea di seguito una traccia di lavoro perché le giovanissime menti in formazione abbiano la possibilità di recepire alcuni elementi:
 l'attitudine all'ascolto,
 la ponderazione del giudizio,
 la coerenza delle argomentazioni,
 la capacità di guardare alle cose da punti di vista radicali o alternativi,
 l'apertura alle possibilità,
 la capacità di sviluppare con coerenza logica un'ipotesi,
 la capacità di procrastinare o sospendere il giudizio,
 la capacità e di mettere il mondo tra parentesi.
Impegno, ascolto, fiducia, rispetto, tolleranza, sono attitudini finalizzate a tradurre valori, senza i quali il dibattito filosofico è impossibile. Ma questa etica comunicazionale non concerne solo il rispetto delle persona. È necessario sottomettersi all’esercizio della ragione, al "miglior argomento" (Habermas), alla ricerca della verità. Perché è possibile, a livello di procedura, scambiarsi democraticamente delle banalità o dei pregiudizi. È possibile, a livello di processi, discutere con piena fiducia in un gruppo e nel rispetto delle persone senza che ci sia un lavoro concettuale. Perché il dibattito sia filosofico, è necessaria un’esigenza intellettuale: "sapere di cosa si parla e se ciò che si dice è vero". Cioè mettere in opera, -su nozioni e problemi fondamentali e abitando il proprio discorso-, dei processi di concettualizzazione, di problematizzazione, di argomentazione. Il gruppo è in questo senso una comunità di ricerca, in cui si osa proporre senza mai imporre, in cui si ha bisogno degli altri per modificare il proprio pensiero. Filosofia come:
 esperienza, non come verità, come contesto di vita, incontro dialogico;
 praticare l’amore per il sapere, pensiero-in-azione;
 l’inizio perduto della filosofia che appartiene ai non-filosofi;
 apertura di senso, incanto privo delle risposte;
 pratica discorsiva, costruzione sociale della conoscenza.
Acquisire la consapevolezza dell’unitarietà del sapere. La vera creatività nella conoscenza si manifesta proprio nella capacità di scardinare ed eludere la sorveglianza delle guardie confinarie delle discipline, di percorrere le linee di frontiera. La filosofia proposta nel laboratorio del pensiero è smaterializzata dai contenuti tradizionali e si presenta non come una “materia” ma come un'area interdisciplinare, “per tutti” e “per tutte le età”, secondo una prospettiva a suo tempo tracciata anche dalle proposte della cosiddetta Commissione dei Saggi, la quale invitava a sviluppare con coerenza e valorizzare le possibilità offerte dal lavoro filosofico in aula. Nel documento, infatti, l’attività didattica filosofica viene considerata quale punto d'unione di una pluralità di discipline e di orientamenti del pensiero, situati in posizioni assai diverse nello spazio e nel tempo ma che tuttavia vengono fatti interagire.
Si mira a costruire un percorso didattico che mira a incoraggiare negli allievi alcune qualità filosoficamente rilevanti. L'acquisizione di una mentalità filosofica necessita infatti, anzitutto, della capacità di uscire dal punto di vista consueto. Tale disponibilità favorisce la percezione dell'esistenza di modelli di precomprensione della realtà nei processi mentali, che in determinate circostanze possono rappresentare un vero e proprio blocco cognitivo.
Dunque, si intende qui il fare filosofia:
 come comunità di ricerca: processo euristico di problematizzazione (la domanda filosofica),
 come concettualizzazione: cognizione e metacognizione, (il concetto filosofico è universale ma anche sempre controverso/problematico)
 come ragione argomentativa: attività intellettuale razionale, critico-creativa, pratica del discorso in contesto reale
 come ragione dialogica ed etica: la ricerca comune, la condivisione e l’accettazione, l’autocorrezione, il pensiero divergente, la costruzione sociale della conoscenza.

Ruolo dell’insegnante
 Accompagnare il dialogo;
 cercare di intuire e valorizzare la profondità filosofica di ciò che vien detto;
 porre domande aperte, di rinforzo alla ricerca;
 evitare di dispensare certezze;
 aiutare il processo di consapevolezza di ciascuno e la creazione di un’identità di gruppo, di cui è parte attiva e paritaria.
L’insegnante lavora per il riconoscimento della comunità come soggetto epistemico, ove tutti i componenti condividono e co-costruiscono un’indagine di tipo filosofico sulla base di una struttura procedurale e di una struttura normativa, in uno scambio incessante di interazioni dinamiche fra individuo e gruppo. L’insegnante si siede in circolo con gli e incoraggia nel gruppo l’ascolto, l’attenzione, il rispetto del pensiero, dei tempi e dei modi di ciascuno, la flessibilità e la pazienza.

La valutazione
E’ bene precisare che quando si parla di educazione del pensiero il problema della verifica, della valutazione dei processi e del prodotto formativo, risulta particolarmente delicato e di grande complessità: è infatti chiaro che, se si vuole valutare il pensiero nella sua multidimensionalità, ci si deve porre in relazione con un numero indefinito e sempre crescente di indicatori e variabili. A partire da queste premesse, è centrale comprendere che a questa tipologia di lavoro occorre accompagnare un’attività che impegni gli alunni e i docenti a ipotizzare/costruire prove di verifica che sappiano fare riferimento alle molteplici caratteristiche situazionali in cui il dialogo si svolge, all’interazione verbale tra gli alunni, al valore delle domande aperte, al valore di costruire insieme i significati intorno alle ‘cose’.


Ultima modifica di Admin il Gio Dic 16, 2010 8:47 pm - modificato 5 volte.

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